Un nuovo disastro scuote l’India: crolla il ponte Gambhira, morti e feriti. Piogge torrenziali, errori umani e un’infrastruttura fragile. Leggi tutti i dettagli.
Un boato improvviso. Poi il vuoto. È bastato un attimo perché il ponte Gambhira, nel cuore del Gujarat, si sbriciolasse su se stesso, trascinando nel fiume camion, SUV, un furgone. Nove vite spazzate via. Sei feriti, strappati all’acqua dai soccorritori. Una corsa contro il tempo tra lamiere contorte e correnti insidiose. Le immagini raccontano tutto: detriti metallici galleggianti, volti stravolti, mani che cercano tra il fango e l’acqua qualcuno ancora vivo.
Pioggia torrenziale da giorni, terreno fragile, un ponte costruito nel 1985 e lasciato invecchiare. Lì, tra colline inzuppate e strade dissestate, la tragedia non ha sorpreso nessuno. Il ministro della Salute ha confermato: cinque persone sono state salvate. Ma il bilancio resta grave.
Un’inchiesta è partita subito. Le cause ufficiali non ci sono ancora. Ma la verità è lì, davanti a tutti: infrastrutture vecchie, manutenzione carente, controlli saltuari. La rabbia monta. Non è la prima volta. E, finché nulla cambierà, non sarà l’ultima.
Il primo ministro Modi ha parlato di dolore profondo. Ha mandato le condoglianze alle famiglie, mentre la comunità si stringe in un silenzio carico di rabbia e paura. Perché il Gujarat conosce bene il sapore amaro di queste tragedie. Solo nel 2022, un ponte sospeso ha ceduto di colpo nello stesso Stato. Oltre 130 morti. Decine di feriti. Allora si parlò di manutenzione scarsa, di errori grossolani. Oggi la storia si ripete.
L’India è un Paese che corre verso il futuro, ma zoppica sulle sue fondamenta. Le promesse di modernizzazione si scontrano con realtà fragili. Strade che si allagano, ponti che crollano, vite spezzate per disattenzione e risparmi sbagliati. Il dibattito si riaccende ogni volta, tra proclami e accuse, ma la sicurezza resta spesso solo un annuncio.
E mentre i sommozzatori continuano a immergersi in cerca di dispersi, i familiari aspettano notizie. Gli sguardi persi, le mani giunte, la speranza che si consuma. La domanda che risuona ovunque è una sola: quante altre vite dovranno pagare il prezzo dell’incuria?
Il ponte Gambhira non è solo un crollo di cemento e acciaio. È un monito che riecheggia forte. Serve un cambio di passo. Serve responsabilità. Serve un impegno vero per evitare che il fiume si trasformi ancora in una tomba collettiva.
Restate con noi. Diteci cosa ne pensate nei commenti. La vostra voce conta. Facciamola sentire.