Una nuova pista sconvolge il caso Chiara Poggi: potrebbe essere l’arma mai trovata. Ecco perché questa pista sta riaccendendo l’interesse sul delitto di Garlasco.
Un colpo secco. Un tonfo. Poi il silenzio. A distanza di quasi due decenni, il delitto di Chiara Poggi a Garlasco è ancora un rebus irrisolto. Ma ora, qualcosa potrebbe cambiare. Un oggetto insospettabile, dimenticato tra le pieghe della scena del crimine, torna sotto i riflettori. E potrebbe essere proprio lui, il protagonista mancato di questo mistero.
Estate 2007. Una villetta silenziosa. Un corpo riverso. Da allora, domande senza risposta. Ma la più spinosa resta sempre quella: con cosa è stata uccisa Chiara?
In diciotto anni si è cercato ovunque. Anche nei posti più assurdi. Canali, tombini, soffitte. Eppure, niente. L’arma del delitto è come evaporata. Finché un esperto, con mente lucida e occhi puntati sui dettagli, non rimette tutto in discussione.
Si chiama Enrico Manieri, 63 anni, perito di balistica. Lui non si accontenta delle teorie già scritte. Rilegge il corpo come una mappa del dolore. Unisce i punti. E vede qualcosa che altri non hanno visto.
Il volto di Chiara? Non colpito direttamente, ma spinto, schiacciato. Forse contro qualcosa di duro, freddo, tagliente. Il vero danno non sta nel colpo, ma nella caduta. E prima ancora, un calcio violento alla gamba sinistra. Non un dettaglio da poco. Quel colpo, secondo Manieri, non può arrivare da una delle famose scarpe a pallini. Troppo preciso. Troppo potente. Forse, c’era qualcun altro.
E il vaso? Eccolo. Non quello dei fiori, ma il supporto, il portavasi in ferro battuto. Un oggetto d’arredo, mai finito tra le prove. Mai analizzato a fondo. Ma lì, fermo, silenzioso, nella scena del crimine.
Le ferite combaciano. I graffi, le contusioni, le impronte semilunari trovate sotto il divano spostato. Sembrano tracce lasciate proprio da quel portavasi. Magari spostato, lavato, rimesso al suo posto. Invisibile tra gli oggetti di tutti i giorni.
Manieri non ha dubbi: è plausibile che l’arma sia rimasta lì, davanti agli occhi di tutti. Pulita sotto la doccia, forse. Camuffata tra il mobilio. E nessuno se n’è mai accorto.
Una teoria scioccante, certo. Ma suggestiva. Perché cambia tutto. Non solo l’arma. Ma anche la scena, la dinamica, i sospetti.
E se la verità fosse sempre stata lì, nascosta in piena vista? Se l’assassino avesse scelto la via più semplice: non nascondere, ma confondere?
Garlasco torna a far parlare di sé. E ora, più che mai, servono occhi nuovi, menti aperte. Perché ogni dettaglio conta. Ogni oggetto può raccontare una storia. Anche quello che sembrava solo arredamento.
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