L’avvocato Massimo Lovati accusa: il DNA sconosciuto sul corpo di Chiara Poggi è solo contaminazione. Scopri la sua versione sul delitto di Garlasco e le implicazioni per l’inchiesta.
Silenzio in aula, ma il caso Garlasco continua a far rumore. Un nuovo tassello riapre vecchie ferite: sul tampone orale di Chiara Poggi è stato confermato un profilo genetico sconosciuto. Una notizia che potrebbe sembrare clamorosa, ma c’è chi non ci crede affatto.
Massimo Lovati, avvocato di Andrea Sempio, non ha dubbi: questa pista è un vicolo cieco. Secondo lui, il DNA non rivela un misterioso assassino, ma racconta un errore banale e inquietante. Una contaminazione.
Lovati accusa senza mezzi termini. Ritiene che la garza usata per il prelievo fosse sporca ancor prima di sfiorare la bocca della vittima. Il colpevole della contaminazione? Un assistente del medico legale Ballardini, un certo Ferrari. Non un estraneo sul luogo del delitto, ma un operatore che avrebbe maneggiato quel materiale in modo poco attento.
Il legale racconta che ci sono due tracce distinte. La prima corrisponde quasi in toto al DNA di Ferrari. La seconda è un mix, in parte compatibile con lui, in parte no. Ma entrambe, dice, puntano verso la stessa spiegazione: la garza era già compromessa.
Lovati spiega che i suoi consulenti hanno analizzato la quantità di DNA maschile presente. Quantità irrisorie. Picogrammi, meno di una cellula intera. Roba che si trasferisce con un tocco distratto, con strumenti riutilizzati, con un passaggio di mano non abbastanza pulito.
Secondo lui è tutto lì: niente mistero, nessun complice. Un solo assassino, come sempre. Ogni teoria sul “terzo uomo” sulla scena del crimine, secondo Lovati, è soltanto fumo.
Ma non è l’unico a dire la sua. A fare chiarezza sui numeri interviene il genetista Marzio Capra. Per lui, quei dati parlano chiaro. La concentrazione di DNA appartenente a Chiara Poggi è altissima. Quella maschile è un’ombra. Un’impronta lasciata dal caso, non dal delitto.
Capra non si limita a scartare la pista del DNA misterioso. Va oltre: descrive come può essere successo. Contaminazione durante il sopralluogo. Durante l’autopsia. Durante il trasporto. Chi apre, chi ispeziona, chi maneggia. Ogni passaggio è un rischio. La scena del crimine non perdona errori.
E non esclude che la stessa garza possa aver incontrato tracce residue da altre autopsie. Un trasferimento involontario, ma fatale per le indagini. Anche dopo 18 anni, quelle domande restano appese come spettri.
Capra conclude che, se davvero qualcuno volesse, potrebbe ancora cercare la fonte di quell’inquinamento. Ma la pista investigativa, per ora, resta fredda.
E mentre Lovati liquida la nuova pista come inutile, dall’altra parte si alza un’altra voce. Quella di Antonio De Rensis, legale di Alberto Stasi. Più prudente. Per lui il lavoro non è finito. Ricorda che spetta alla Procura scavare, verificare, stabilire a chi appartenga davvero quel profilo.
Un avvertimento, più che un’ipotesi. Come dire che la scienza forense non ammette scorciatoie. Servono risposte certe. Serve rigore. E serve la verità.
Il delitto di Garlasco resta lì. Un enigma inciso nel tempo. Tra voci discordanti, dati tecnici e vecchie ferite che si riaprono a ogni svolta.
E voi? Cosa ne pensate di queste nuove analisi? Vi convince la spiegazione della contaminazione o credete che ci sia ancora qualcosa da scoprire? Fatecelo sapere nei commenti.