Don Alì sembrava solo un personaggio virale, ma dietro i video si nascondeva qualcosa di molto più pericoloso. E ora il conto è arrivato.
Hai mai pensato a cosa succede quando un influencer trasforma la criminalità in contenuto virale?
Don Alì, 24 anni, conosciuto come il “capo dei maranza”, è finito dietro le sbarre. Non per un video fuori luogo, ma per una sequenza di episodi reali, violenti, trasformati in spettacolo social. Da Torino al web, il confine tra fiction e realtà è stato distrutto.
Tutto è esploso quando, insieme a due complici, ha aggredito un maestro davanti alla figlia, accusandolo di pedofilia senza alcuna prova. Il tutto filmato e pubblicato online. Pochi giorni dopo, avrebbe colpito con una mazza chiodata l’auto di una troupe televisiva arrivata per documentare l’accaduto. Il messaggio? Chi si intromette, paga.
La giudice è stata chiara: Don Alì libero rappresenta un pericolo concreto. Nessuna misura alternativa avrebbe funzionato. Né braccialetti elettronici, né divieti. La sua ostinata sfida alle forze dell’ordine e il bisogno costante di contenuti ad alto impatto lo rendevano ingestibile.
La sua popolarità sui social, dove raccontava le sue “gesta”, è diventata l’arma principale dell’accusa. La realtà piegata al personaggio, con un pubblico di giovani pronti a gridare #freeali come se fosse un eroe ribelle. Ma non è fiction. È cronaca.
Il suo arresto ha diviso il web. Da un lato chi esulta, dall’altro chi lo difende a spada tratta. In mezzo, una domanda: è giusto trasformare le periferie in palcoscenici per video virali dove la violenza è protagonista?
Il dibattito è aperto. E tu da che parte stai?
