Nuova scoperta sul caso di Garlasco. Un profilo genetico dimenticato emerge dopo anni: tracce maschili e femminili riaccendono le indagini sul delitto di Chiara Poggi. Ecco gli ultimi aggiornamenti!
Sei pronto a scoprire un dettaglio che potrebbe rivoluzionare una delle storie più oscure della cronaca italiana? Preparati.
A quasi vent’anni dal tragico 13 agosto 2007, giorno in cui Chiara Poggi fu uccisa nella sua villetta di Garlasco, emerge un nuovo tassello forense che spalanca un interrogativo potente: cos’altro nasconde davvero la scena del delitto?
Oggi le indagini ripartono da una traccia genetica rimasta nell’ombra finora. È il profilo MDX1, rilevato sul pollice destro di Chiara grazie a un tampone eseguito dai Ris di Parma. Risale al 2007, ma all’epoca fu scartato perché interpretabile a fatica: l’“effetto ladder” e i picchi troppo bassi dei marcatori resero il quadro confuso. Tuttavia, gli esperti siglavano la traccia come maschile, un dettaglio che restò in archivio senza seguire strade investigative. Nel 2014 il professor Francesco De Stefano riprese quel materiale, confermando la presenza di un Dna maschile, ma non andò oltre. Oggi quei tracciati sopravvissuti potrebbero tornare protagonisti – il loro recupero grazie a tecniche moderne potrebbe indicare volti sconosciuti legati alla tragedia.
Accanto a questa traccia maschile, restano aperte quelle femminili – tre profili incontrati in punti cruciali nella casa di via Pascoli, mai identificati. L’ipotesi di una scena del crimine popolata da più persone, uomini e donne, prende consistenza. La Procura di Pavia, con il procuratore Fabio Napoleone, indirizza l’indagine verso la possibilità di un concorso di persone.
In prima linea ora c’è l’antropologa forense Cristina Cattaneo, incaricata di ottenere risposte sull’arma del delitto e la plausibilità di una dinamica plurale. Parallelamente, la dottoressa Denise Albani conduce un incidente probatorio sulle analisi genetiche: i risultati definitivi sono attesi per il 10 ottobre. Ogni giorno l’attesa cresce.
In questo mosaico, anche la posizione di Andrea Sempio – amico del fratello di Chiara – rimane delicata: il suo Dna sulle unghie è noto e l’avvocato Massimo Lovati sostiene che la sua presenza nella casa fosse abituale e non decisiva. Ma la pista si allarga: quegli altri Dna, soprattutto quelli femminili, potrebbero essere riconducibili a donne vicine alla famiglia, per motivi oscuri.
Il processo che ha condannato Alberto Stasi a 16 anni nel 2015 non basta a chi cerca un quadro più nitido. Questi nuovi elementi potrebbero finalmente far luce su una verità rimasta a lungo offuscata, ma quel capitolo giudiziario è già chiuso. L’Italia, oggi, si chiede: quante verità sono ancora in attesa di emergere?